Troppo zelo in certe scuole

AVVENIRE
(Mercoledì 14 Novembre 2001)

di Giuseppe Dalla Torre

Troppo zelo in certe scuole

"Surtout, messieurs, pas de zèle": soprattutto, signori, niente zelo. Nulla meglio dell'aurea massima attribuita a Talleyrand sembra poter commentare i provvedimenti di alcune autorità scolastiche che, prese da sacro zelo dinnanzi ad emergenze della multietnicità, in presenza di qualche studente islamico hanno chiuso le scuole per il Ramadan (nel Cuneese) o hanno tolto il crocifisso dall'aula (nell'Aquilano).
Perché niente zelo? Perché lo zelo spesso è espressione di fretta, di estemporaneità, di mancato approfondimento di problemi complessi, di improvvisazione ed approssimazione. Con la conseguenza che esso conduce non di rado a complicare i problemi, anziché a semplificarli e risolverli. Ed il razionale Talleyrand lo sapeva bene.
Nel nostro caso i provvedimenti in questione sembrano davvero non adeguatamente ponderati, e non solo dal punto di vista normativo. E' da chiedersi, infatti, se nella scuola dell'autonomia, cioè nella scuola che non è più apparato dello Stato ma luogo di educazione e formazione finalmente ricondotto alla società civile, provvedimenti del genere possano essere adottati da verticistiche deliberazioni della dirigenza scolastica. La legge 59 del 1997 (art. 21) e soprattutto il relativo d.p.r. 275 del 1999 sottolineano fortemente finalità e metodi nella gestione della autonomia scolastica, che non è mero decentramento né concentrazione di competenze nella amministrazione della scuola, ma che invece è apertura di questa alla società, alla sua identità culturale, alle diverse componenti ed in modo speciale alla partecipazione attiva dei titolari della funzione educativa, a cominciare dai genitori e dalle famiglie. C'è quindi un problema di metodo ed un problema di merito.
In primo luogo nel metodo, perché evidentemente provvedimenti come quelli sopra citati non sono neutrali, asettici, imparziali, rispetto all'offerta formativa che la scuola vuol dare. E se così è, ne consegue che provvedimenti del genere non possono essere assunti, senza ricorrere alle procedure che il diritto scolastico vigente prevede per l'inderogabile coinvolgimento dei soggetti che incarnano la società civile. In particolare le autorità scolastiche non possono omettere l'interpello di quanti sono chiamati ad elaborare il progetto educativo e l'offerta formativa di ogni singolo istituto.
Ma poi anche nel merito, se è vero, come è vero, che il progetto educativo e l'offerta formativa, nella scuola dell'autonomia, cioè nella scuola in cui si esprime la società civile, non può non partire dal concreto contesto sociale e culturale, dalle istanze che le singole comunità locali esprimono, in particolare dalla loro identità. Ora esiste una identità italiana; questa identità è stata forgiata dal cattolicesimo e non può - anche se lo si volesse - essere cancellata, così come non si possono cancellare la Divina Commedia o gli affreschi di Giotto. Attenzione: non si vuol dire che la scuola pubblica debba divenire apparato confessionale. Si vuol dire che se la scuola deve essere luogo di formazione, quindi innanzitutto luogo di elaborazione culturale che dia significati e risposte di senso nel contesto concreto in cui i giovani sono chiamati a vivere, il nascondimento di quell'identità diventa, pedagogicamente parlando, un disvalore: per gli italiani, che verrebbero deprivati di fondamentali elementi di identificazione personale e comunitaria (quali che siano le scelte di ognuno in materia religiosa); per i piccoli extracomunitari, cui non sarebbero offerti elementari fattori di comprensione della realtà sociale in cui sono chiamati ad inserirsi pacificamente e senza discriminazioni.
Per quanto poi riguarda, in particolare, l'esposizione del crocifisso nelle scuole, così come più in generale negli uffici pubblici e nelle aule giudiziarie, si potrebbe notare che esso è adempimento dovuto sulla base di disposizioni tuttora in vigore, già passate - dopo la modifica concordataria del 1984 - al vaglio di legittimità, comunque non derogabili da un qualsiasi amministratore pubblico, sia pure un dirigente scolastico. Ma forse vale la pena di andare alla sostanza della questione e ricordare che "per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l'immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo, cancella l'idea di Dio, ma conserva l'idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per una loro fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c'è l'immagine. E' vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti (...) perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli, tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva mai detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini". Per questo è "bene che i ragazzi, i bambini lo sappiano, fin dai banchi di scuola".
Non si preoccupino i timorosi dell'integralismo cattolico: sono parole di Natalia Ginzburg.

(Giuseppe Dalla Torre)




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