di Monica Mondo
DIBATTITO
La richiesta di eliminare i segni sacri dalle classi: esponenti di religioni diverse ieri a confronto su Sat 2000
In una scuola del Cuneese, il preside ha imposto un giorno di vacanza per l'inizio del Ramadan. Ci avviciniamo al Natale: in molte scuole non si faranno presepi, non si canterà "Tu scendi dalle stelle", ma ad esempio "Imagine" di John Lennon. Parole testuali: "Immagina che non ci sia inferno sotto di noi, sopra di noi solo il cielo...".
In una scuola di La Spezia l'insegnante si è premurata di far togliere dalla parete il crocifisso per non turbare i suoi allievi di diversa religione. Non è questione nuova, anche se rinnovata dall'urgenza odierna di tolleranza, di dialogo, fors'anche dalla paura di chi riconosciamo distante e ostile.
Se n'è parlato ieri, su Sat 2000, nel programma di approfondimento culturale Il Sicomoro, che ha riunito le voci di un esponente della comunità ebraica, David Meghnagi, del rappresentante della Lega mondiale musulmana, Mario Scialoja, di Antonio Maria Baggio, docente di etica della politica alla Pontificia Università Gregoriana, di Francesco D'Agostino, docente di filosofia del diritto e Presidente dell'Associazione giuristi cattolici.
Già 15 anni fa la laica Natalia Ginzburg, l'ebrea Natalia Ginzburg scriveva su L'Unità: "A me dispiace che il crocifisso scompaia da tutte le classi. Mi sembra una perdita (...) Il crocifisso è il segno del dolore umano. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli... Gesù Cristo ha portato la croce, e a tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura".
Segno del dolore di ogni uomo, per i laici. Segno della sconvolgente, eccezionale regalità di Cristo, per i credenti. In un mondo in cui i segni sono tanti, e fasulli, e non rimandano ad altro che a se stessi, il segno della croce ci obbliga ad alzare lo sguardo, a riconoscere l'appartenenza a una civiltà che dal cristianesimo è nata.
"C'è però un percorso di laicizzazione della scuola che va tutelato e difeso - puntualizza David Meghnagi -. La dimensione della fede appartiene alla fede, e la scuola è la casa di tutti. Io personalmente ad esempio sono contrario all'otto per mille, sono per la separazione assoluta tra la Chiesa e lo Stato, tra le diverse fedi e lo Stato. Capisco che sia difficile per il mondo cattolico metabolizzare i cambiamenti che stanno avvenendo e che ci coinvolgono tutti: un tempo il cattolicesimo era imposto quasi dal punto di vista costituzionale come religione di Stato".
Risponde Antonio Maria Baggio: "Ma le società si sono costituite servendosi di idee religiose, la nostra vita quotidiana non sarebbe tale, almeno nel bene, se la religione non avesse trasmesso le sue categorie fondamentali. Questa rilevanza pubblica della fede lo Stato deve riconoscerla, e il caso dell'otto per mille è emblematico".
"La scuola casa di tutti? Ma sempre più povera, deprivata di elementi e simboli che sono costitutivi: la casa di tutti deve nascere da un arricchimento, non da una sottrazione - sottolinea Francesco D'Agostino -. Circolano almeno due diversi concetti di laicità, da ben riconoscere e distinguere. Dal mio punto di vista significa distinguere i poteri civili e quelli religiosi, cioè autonomia dello Stato e rispetto della Chiesa. Non è però marginalizzazione e relativizzazione delle fedi religiose. La fede non è qualcosa di intimo, privato e pubblicamente irrilevante".
Recentemente, e da una platea televisiva seguitissima, alcuni musulmani hanno parlato del crocifisso come "esecrabile idolo", e prontamente ha loro replicato Mario Scialoja, ricordando come il Corano insegni il rispetto, codifichi addirittura la libertà religiosa, la pluralità delle fedi, e che molti Paesi islamici rispettino questi dettami, all'insegna della laicità dello Stato, come l'Egitto, la Tunisia, lo stesso Iran. "L'islam è una galassia formata da 54 Paesi con culture, storia, tradizioni e sistemi sociali profondamente diversi, spesso arretrati rispetto a quelli europei. Dobbiamo quindi solo guardare alla dottrina, alla realtà della fede e costruire una società islamica europea compatibile con la nostra società".
È giusto, l'Occidente deve difendere le minoranze, in nome dei diritti, delle leggi su cui è fondato: ma sarebbe altrettanto giusto difendere i cristiani là dove sono minoranza. "Peccato che nei Paesi islamici, e parlo dei più moderati, le altre religioni monoteiste siano paragonate a fedi bambine, senza ancora la maturità dell'islam. Bisogna conoscere il dramma di tanti giovani cristiani costretti a partire, a scegliere l'esilio per praticare, esprimere la propria fede", ricorda Baggio, cui Meghnagi fa eco: "È più che legittimo, giusto rivendicare una reciprocità, un impegno di tutela dei propri diritti religiosi ovunque. La conquista della visione laica dello Stato, come la tutela dei diritti civili, è un valore per l'Occidente che riteniamo di poter estendere a tutte le culture, beninteso senza l'uso della forza".
È proprio questa coscienza di un'identità, dell'ecùmene cristiano di cui siamo fatti, che sembra venir meno. Nel rispetto, nella comprensione di ogni altra religione e cultura. Basterebbe questa coscienza per rispettare il segno del crocifisso. Ritenerlo un intruso, o uno scandalo (non per la coscienza, ma per un perbenismo moralista e vuoto di significati) è solo per la nostra indifferenza, la nostra pavidità, forse per atavici sensi di colpa per errori antichi, di cui si è chiesto dai più alti vertici della Chiesa sinceramente perdono.
Spiega bene D'Agostino: "Non possiamo dialogare senza pensare di avere qualcosa da dire e di molto significativo. Mi piace pensare al dialogo come l'incontro di due identità consapevoli di se stesse, capaci di arricchirsi l'un l'altra. Certo, siamo sul filo di una lama: da una parte c'è il rischio che si tratti di un dialogo tra sordi. Oppure che il pluralismo ideologico e il multiculturalismo spingano le diverse comunità a chiudersi al loro interno, e rendano quindi irrilevante il reciproco dialogo. È uno dei pericoli più gravi per l'Occidente".
Anche perché il dialogo non dev'essere necessariamente di carattere dottrinale, continua Scialoja. "C'è un oceano di posizioni comuni tra le diverse religioni, in materia ad esempio di difesa della vita, della pace, dei diritti dell'uomo. Lavorando insieme su questi temi è possibile costruire una società più giusta ed umana".
Purché i tre grandi monoteismi si adoperino per rendere noto all'uomo moderno quanto egli debba alla religione, conclude Baggio: "Se noi prendiamo sul serio il fatto che possiamo dirci tutti figli di Dio, questa affermazione di fede è più forte di tutto quel che ci separa". La tolleranza non è sforzo di conciliare tante diverse verità: è il crocifisso a ricordarci di amare il prossimo come noi stessi.
(Monica Mondo)