di Luigi Accattoli
CITTA’ DEL VATICANO - Giovanni Paolo parte oggi per Kiev, capitale dell’Ucraina: una visita di cinque giorni attesissima dai cattolici ucraini, ma giudicata «prematura» dal Patriarcato di Mosca. Di nuovo dunque, cinquanta giorni dopo i fatti di Atene, il Papa slavo scuote il mondo ortodosso. E per l’ennesima volta spariglia le carte di Mosca. Stavolta non sono le carte truccate dell’impero sovietico, ma quelle legittime del Patriarcato di Mosca. L’Ucraina è la culla dell’Ortodossia russa e fedele al Patriarcato di Mosca è la maggiore delle tre Chiese ortodosse del Paese.
Il primo fatto saliente, o grave è dunque questo: che il Papa visita l’Ucraina - per incontrare la comunità cattolica che conta almeno cinque milioni di fedeli, concentrati soprattutto nella parte occidentale del paese - senza il gradimento della prima Chiesa cristiana della nazione ospitante.
Dal punto di vista ecumenico, questa è una forzatura. Mai era capitato, prima d’oggi, che Giovanni Paolo mettesse piede in un paese a maggioranza ortodossa senza un «benvenuto», almeno formale, da parte di quella maggioranza.
Nè i patriarcati di Romania e di Georgia (Paesi visitati da Wojtyla nel 1999), nè la Chiesa ortodossa di Grecia avevano visto di buon occhio l’arrivo del Papa, ma spinti dai rispettivi governi avevano finito con l’esprimere un gradimento diplomatico. Stavolta non c’è neanche quello.
Anzi, il Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina ha chiesto al Papa di rinviare la visita, sostenendo che essa «aggraverà» il conflitto tra le due Chiese e affermando che nessun loro esponente sarà disponibile a incontrarlo in questa occasione.
Il «conflitto» - nelle dichiarazioni del Patriarcato di Mosca - è quello che oppone cattolici e ortodossi nell’Ucraina occidentale, originato dall’«aggressivo proselitismo» e dalla «guerra religiosa» degli «uniati» (cattolici di rito greco) contro gli ortodossi.
I cattolici negano la «guerra religiosa» e si dicono pronti al superamento consensuale dei conflitti locali, dovuti al recupero da parte loro degli edifici di culto che in epoca comunista erano passati agli ortodossi.
L’invito a visitare l’Ucraina il Papa l’ha ricevuto dai vescovi cattolici e dal presidente della repubblica Leonid Kuchma. Kuchma - che gli ortodossi filorussi (vi sono anche due Chiese ortodosse minori, che Mosca considera "scismatiche") accusano di «cinismo» - dalla visita del Papa si attende un vantaggio di immagine sul piano internazionale, che l’aiuti a staccarsi da Mosca e ad accelerare il negoziato per l’ingresso nell’Unione europea.
Il Papa - dicono in Vaticano - non ha accolto la richiesta ortodossa di rinviare la visita perchè quella visita la veniva rinviando da una decina d’anni. E Wojtyla non è l’uomo dell’eterno rinvio: questa è la prima ragione.
Egli - dicono i collaboratori - sente la visita come un dovere di «giustizia» nei confronti dei cattolici ucraini, che furono perseguitati da Stalin: martedì a Leopoli beatificherà 25 «martiri» di quella persecuzione.
Ma c’è un’altra ragione, che potremmo definire di strategia ecumenica: con la decisione di andare in Ucraina senza il gradimento ortodosso, dopo averlo atteso a lungo, Giovanni Paolo chiarisce che non accetta la logica della diplomazia tra le Chiese, quando questa minaccia di trasformarsi in una dittatura del consenso generale.
Non si può fare nulla - dice quella logica - finchè non si è tutti d’accordo. E siccome l’accordo non c’è, tant’è che non si riesce neanche a recitare il «Padre nostro» insieme (ci sono riusciti in Romania e in Gracia, ma non in Georgia e al Monte Sinai), non si fa nulla.
Con il viaggio che inizia oggi Papa Wojtyla si ribella a quella dittatura ecumenica. Come cinquanta giorni fa ha chiesto perdono unilateralmente ai greci, così ora si prende la responsabilità di mettere piede in una terra ortodossa senza il previo consenso ortodosso.
Che ne verrà? L’incoraggiamento alla comunità cattolica, ovviamente. Ma ne verrà anche un vantaggio per le due Chiese ortodosse separate da Mosca: quella minima dell’emigrazione, rientrata in patria dopo la caduta del comunismo e quella, più corposa, con a capo il metropolita Filarete, che è stato scomunicato da Mosca.
Il Patriarcato di Mosca non andrà agli incontri e considererà «atto ostile» nei propri confronti qualsiasi contatto che il Papa verrà a stabilire con le due Chiese separate, durante la visita.
Per evitare passi falsi, nel programma è stato previsto - per domani pomeriggio - un incontro del Papa con il «Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose»: non vi sarà ovviamente la maggiore Chiesa ortodossa, ma vi saranno le altre due, insieme alle due comunità cattoliche (la latina e la greca), ai sei gruppi protestanti, agli ebrei e ai musulmani.
Gli organizzatori vaticani della visita si salvano l’anima giurando che l’incontro avviene su «invito del governo». Ma basterà una stretta di mano tra il Papa e Filarete perchè Mosca gridi allo scandalo.
Il grido di Mosca tuttavia appare debole nel panorama ucraino in rapida evoluzione e che, forse, la visita papale contribuirà a movimentare. Anche la Chiesa ortodossa fedele al Patriarcato moscovita chiede maggiore autonomia. Le inchieste giornalistiche parlano di un favore diffuso alla venuta del Papa tra i fedeli di quella Chiesa.
Mai Giovanni Paolo si è era tanto geograficamente avvicinato a Mosca quanto gli riesce di fare oggi atterrando a Kiev. E mai se ne era trovato diplomaticamente più lontanto! Qui è il paradosso del viaggio.
Che non è certo il più difficile che abbia affrontato Giovanni Paolo: il primo in Polonia, o quello dell’anno scorso in Terra Santa partivano con pesi maggiori. Ma è di sicuro - tra i 94 viaggi internazionali di questo Papa - quello a più alto rischio ecumenico.
Un rischio calcolato, tuttavia. Se Wojtyla troverà le parole giuste per far intendere la sua mano tesa (egli in ciò è maestro, come si è visto ad Atene), se davvero l’accoglienza sarà buona da parte della maggioranza della popolazione, se non ne seguiranno disordini e violenze il bilancio sarà certamente positivo.
Nell’immediato l’irrigidimento moscovita non potrà essere evitato. Ma se il risultato sarà di reale avvicinamento, com’è stato in Grecia, anche la dirigenza del patriarcato di Mosca dovrà prenderne atto.
(Luigi Accattoli)