2. Monsignor Decano si e’ soffermato
sul significato pastorale del vostro lavoro, mostrandone la grande rilevanza
nella quotidiana vita della Chiesa. Condivido una simile visione e vi incoraggio
a coltivare in ogni vostro intervento questa prospettiva, che vi pone in
piena sintonia con la finalita’ suprema dell'attivita’ della Chiesa. Gia’
altra volta ho avuto occasione di accennare a questo aspetto del vostro
ufficio giudiziario, con particolare riferimento a questioni processuali.
Anche oggi vi esorto a dare prevalenza, nella soluzione dei casi, alla
ricerca della verita’, facendo uso delle formalita’ giuridiche soltanto
come mezzo per tale fine.
L'argomento su cui intendo
soffermarmi nell'odierno incontro e’ l'analisi della natura del matrimonio
e delle sue essenziali connotazioni alla luce della legge naturale. E'
ben noto l'apporto che la giurisprudenza del vostro Tribunale ha dato alla
conoscenza dell'istituto matrimoniale, offrendo un validissimo punto di
riferimento dottrinale agli altri Tribunali ecclesiastici. Cio’ ha consentito
di focalizzare sempre meglio il contenuto essenziale del coniugio sulla
base di una piu’ adeguata conoscenza dell'uomo.
All'orizzonte del mondo
contemporaneo, tuttavia, si profila un diffuso deterioramento del senso
naturale e religioso delle nozze, con riflessi preoccupanti sia nella sfera
personale che in quella pubblica. Come tutti sanno, oggi non si mettono
in discussione soltanto le proprieta’ e le finalita’ del matrimonio, ma
il valore e l'utilita’ stessa dell'istituto. Pur escludendo indebite generalizzazioni,
non e’ possibile ignorare, al riguardo, il fenomeno crescente delle semplici
unioni di fatto, e le insistenti campagne d'opinione volte ad ottenere
dignita’ coniugale ad unioni anche fra persone appartenenti allo stesso
sesso.
Non e’ mio intendimento
in una sede come questa, dove e’ prevalente il progetto correttivo e redentivo
di situazioni dolorose e spesso drammatiche, insistere nella deplorazione
e nella condanna. Desidero piuttosto richiamare, non soltanto a coloro
che fanno parte della Chiesa di Cristo Signore, ma altresi’ a tutte le
persone sollecite del vero progresso umano, la gravita’ e l'insostituibilita’
di alcuni principi che sono basilari per l'umana convivenza, ed ancor prima
per la salvaguardia della dignita’ di ogni persona.
3. Nucleo centrale ed elemento
portante di tali principi e’ l'autentico concetto di amore coniugale fra
due persone di pari dignita’, ma distinte e complementari nella loro sessualita’.
L'affermazione, ovviamente, deve essere intesa in modo corretto, senza
cadere nel facile equivoco, per cui talora si confonde un vago sentimento
od anche una forte attrazione psicofisica con l'amore effettivo dell'altro,
sostanziato di sincero desiderio del suo bene, che si traduce in impegno
concreto per realizzarlo. Questa e’ la chiara dottrina espressa dal Concilio
Vaticano II, ma e’ altresi’ una delle ragioni per le quali proprio i due
Codici di Diritto Canonico, latino e orientale, da me promulgati, hanno
dichiarato e posto come naturale finalita’ del connubio anche il bonum
coniugum . Il semplice sentimento e’ legato alla mutevolezza dell'animo
umano; la sola reciproca attrazione poi, spesso derivante soprattutto da
spinte irrazionali e talora aberranti non puo’ avere stabilita’ ed e’ quindi
facilmente, se non fatalmente, esposta ad estinguersi. L'amor coniugalis,
pertanto, non e’ solo ne’ soprattutto sentimento; e’ invece essenzialmente
un impegno verso l'altra persona, impegno che si assume con un preciso
atto di volonta’. Proprio questo qualifica tale amor rendendolo
coniugalis.
Una volta dato ed accettato l'impegno per mezzo del consenso l'amore diviene
coniugale, e mai perde questo carattere.
Qui entra in gioco la fedelta’
dell'amore, che ha la sua radice nell'obbligo liberamente assunto. Il mio
predecessore, il papa Paolo VI in un suo incontro con la Rota, sinteticamente
affermava: "Ex ultroneo affectus sensu, amor fit officium devinciens".
Gia’ di fronte alla cultura giuridica dell'antica Roma, gli autori cristiani
si sentirono spinti dal dettato evangelico a superare il noto principio
per cui tanto sta il vincolo coniugale quanto perdura l'affectio maritalis.
A questa concezione, che conteneva in se’ il germe del divorzio, essi contrapposero
la visione cristiana, che riportava il matrimonio alle sue origini di unita’
e di indissolubilita’.
4. Sorge qui talora l'equivoco
secondo il quale il matrimonio e’ identificato, o comunque confuso, col
rito formale ed esterno che lo accompagna. Certamente, la forma giuridica
delle nozze rappresenta una conquista di civilta’, poiche’ conferisce ad
esse rilevanza ed insieme efficacia dinanzi alla societa’, che conseguentemente
ne assume la tutela. Ma a voi giuristi non sfugge il principio per cui
il matrimonio consiste essenzialmente, necessariamente ed unicamente nel
consenso mutuo espresso dai nubendi. Tale consenso altro non e’ che l'assunzione
cosciente e responsabile di un impegno mediante un atto giuridico col quale,
nella donazione reciproca, gli sposi si promettono amore totale e definitivo.
Liberi essi sono di celebrare il matrimonio, dopo essersi vicendevolmente
scelti in modo altrettanto libero, ma nel momento in cui pongono questo
atto essi instaurano uno stato personale in cui l'amore diviene qualcosa
di dovuto, con valenze di carattere anche giuridico.
La vostra esperienza giudiziaria
vi fa toccare con mano come detti principi siano radicati nella realta’
esistenziale della persona umana. In definitiva, la simulazione del consenso,
per portare un esempio, altro non significa che dare al rito matrimoniale
un valore puramente esteriore, senza che ad esso corrisponda la volonta’
di una donazione reciproca di amore, o di amore esclusivo, o di amore indissolubile
o di amore fecondo. Come meravigliarsi che un simile matrimonio sia votato
al naufragio? Una volta cessato il sentimento o l'attrazione esso risulta
privo di ogni elemento di coesione interna. Manca, infatti, quel reciproco
impegno oblativo che, solo, potrebbe assicurarne il perdurare. Qualcosa
di simile vale anche per i casi in cui dolosamente qualcuno e’ stato indotto
al matrimonio. Ovvero quando una costrizione esterna grave ha tolto la
liberta’ che e’ il presupposto di ogni volontaria dedizione amorosa.
5. Alla luce di questi principi
puo’ essere stabilita e compresa l'essenziale differenza esistente fra
una mera unione di fatto - che pur si pretenda originata da amore - e il
matrimonio, in cui l'amore si traduce in impegno non soltanto morale, ma
rigorosamente giuridico. Il vincolo che reciprocamente s'assume, sviluppa
di rimando un'efficacia corroborante nei confronti dell'amore da cui nasce,
favorendone il perdurare a vantaggio della comparte, della prole e della
stessa societa’.
E alla luce dei menzionati
principi che si rivela anche quanto sia incongrua la pretesa di attribuire
una realta’ ‘coniugale’ all'unione fra persone dello stesso sesso. Vi si
oppone, innanzitutto, l'oggettiva impossibilita’ di far fruttificare il
connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto
da Dio nella stessa struttura dell'essere umano. E' di ostacolo, inoltre,
l'assenza dei presupposti per quella complementarita’ interpersonale che
il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello
eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina. E' soltanto nell'unione
fra due persone sessualmente diverse che puo’ attuarsi il perfezionamento
del singolo, in una sintesi di unita’ e di mutuo completamento psicofisico.
In questa prospettiva l'amore non e’ fine a se stesso, e non si riduce
all'incontro corporale fra due esseri, ma e’ una relazione interpersonale
profonda, che raggiunge il suo coronamento nella donazione reciproca piena
e nella cooperazione con Dio Creatore, sorgente ultima di ogni nuova esistenza
umana.
6. Com'e’ noto, queste deviazioni
dalla legge naturale, inscritta da Dio nella natura della persona, vorrebbero
trovare la loro giustificazione nella liberta’ che e’ prerogativa dell'essere
umano. In realta’, si tratta di giustificazione pretestuosa.
Ogni credente sa che la
liberta’ e’ - come dice Dante - "lo maggior don che Dio per sua larghezza
/ fe'sse creando ed alla sua bontade / piu’ conformato" (Paradiso 5, 19-21),
ma e’ dono che va bene inteso per non trasformarsi in occasione di inciampo
per l'umana dignita’. Concepire la liberta’ come liceita’ morale, od anche
giuridica, di infrangere la legge significa travisarne la vera natura.
Questa infatti, consiste nella possibilita’ che l'essere umano ha di uniformarsi
responsabilmente, cioe’ con scelta personale, al volere divino espresso
nella legge, per diventare cosi’ sempre piu’ somigliante al suo Creatore
(Gn 1, 26).
Scrivevo gia’ nell'Enciclica Veritatis
splendor: "L'uomo e’ certamente libero, dal momento che puo’ comprendere
ed accogliere i comandi di Dio. Ed e’ in possesso d'una liberta’ quanto
mai ampia, perche’ puo’ mangiare di tutti gli alberi del giardino. Ma questa
liberta’ non e’ illimitata: deve arrestarsi di fronte all'albero della
conoscenza del bene e del male, essendo chiamata ad accettare la legge
morale che Dio da’ all'uomo. In realta’, proprio in questa accettazione
la liberta’ dell'uomo trova la sua vera e piena realizzazione. Dio, che
solo e’ buono, conosce perfettamente cio’ che e’ buono per l'uomo, e in
forza del suo stesso amore glielo propone nei comandamenti".
La cronaca quotidiana reca,
purtroppo, ampie conferme circa i miserevoli frutti che tali aberrazioni
dalla norma divino-naturale finiscono per produrre. Sembra quasi che si
ripeta ai nostri giorni la situazione di cui Paolo Apostolo parla nella
lettera ai Romani: "Sicut non probaverunt Deum habere in notitia, tradidit
eos Deus in reprobum sensum, ut faciant quae non conveniunt" (Rom 1, 28).
7. L'accenno doveroso ai problemi
dell'ora presente non deve indurre allo scoraggiamento ne’ alla rassegnazione.
Deve anzi stimolare ad un impegno piu’ deciso e piu’ mirato. La Chiesa
e, conseguentemente, la legge canonica riconoscono ad ogni uomo la facolta’
di contrarre matrimonio; una facolta’, tuttavia, che puo’ essere esercitata
soltanto da coloro qui iure non prohibentur. Tali sono in primo
luogo coloro che hanno una sufficiente maturita’ psichica nella duplice
componente intellettiva e volitiva, insieme con la capacita’ di adempiere
gli oneri essenziali dell'istituto matrimoniale. In proposito non posso
non richiamare ancora una volta quanto ebbi a dire, proprio dinanzi a questo
Tribunale, nei discorsi degli anni 1987 e 1988: una indebita dilatazione
di dette esigenze personali riconosciute dalla legge della Chiesa finirebbe
per infliggere un gravissimo vulnus a quel diritto al matrimonio
che e’ inalienabile e sottratto a qualsiasi potesta’ umana.
Non mi soffermo qui sulle
altre condizioni poste dalla normativa canonica per un valido consenso
matrimoniale. Mi limito a sottolineare la grave responsabilita’ che incombe
ai Pastori della Chiesa di Dio di curare una adeguata e seria preparazione
dei nubendi al matrimonio: solo cosi’ infatti, si possono suscitare nell'animo
di coloro che si apprestano a celebrare le nozze le condizioni intellettuali,
morali e spirituali, necessarie per realizzare la realta’ naturale e sacramentale
del matrimonio.
Queste riflessioni, carissimi
Prelati ed Officiali, affido alle vostre menti e ai vostri cuori, ben conoscendo
lo spirito di fedelta’ che anima il vostro lavoro, mediante il quale intendete
dare attuazione piena alle norme della Chiesa, nella ricerca del vero bene
del Popolo di Dio.
A conforto della vostra
fatica imparto con affetto a tutti voi qui presenti, ed a quanti sono in
qualche modo collegati al Tribunale della Rota Romana la Benedizione Apostolica.
Documenti citati:
Codice latino di diritto canonico, canone 1742
Discorso alla Rota del gennaio 1996, in: "Acta apostolicae sedis" 88 [1996], 775
Discorso alla Rota del gennaio 1981, in: "Acta Apostolicae Sedis" 73 [1981], 232
Discorso alla Rota del gennaio 1984, in: "Acta apostolicae Sedis" 76 [1984], 647
Constitutio apostolica ‘Pastor Bonus’, art. 126
Adhortatio apostolica ‘Familiaris consortio’, 81
Gaudium et spes, 49
Codice latino di diritto canonico, canone 1055 § 1
Codice diritto canonico per le Chiese orientali, canone 776 § 1
Acta apostolicae sedis 68 [1976], 207
Acta apostolicae sedis 85 [1993], 1161
Codice latino di diritto canonico, canone 1058
Codice diritto canonico per le Chiese orientali, canone 778