Dizionario di Bioetica: Aborto
Dal punto di vista medico si definisce aborto l'interruzione della gravidanza entro il 180° giorno completo di amenorrea. Considerando i fattori causali si parla di aborto spontaneo, se dovuto a patologie materne o fetali, o di aborto volontario, se richiesto deliberatamente dalla donna, qualora — in base alla legge italiana n. 194/1978 (aborto legale) — "accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali, o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsione di anomalie o malformazioni del concepito" (art. 4). Talvolta l'aborto volontario rientra nei piani di controllo demografico di un paese (vedi, ad esempio, la Cina), per cui alle coppie che hanno già un figlio viene imposto l'aborto in caso di un nuovo concepimento (aborto coatto). Accanto all'aborto legale vi è l'aborto clandestino, a cui si ricorre al di fuori delle procedure e dei limiti richiesti dalla legge.
Riguardo alle modalità di esecuzione, l'aborto volontario può essere effettuato per via chirurgica (isterosuzione, piccolo cesareo vaginale, etc.) o per via farmacologica (prostaglandine, KU486, progestinici) a cui fa solitamente seguito la revisione chirurgica dell'utero.
Sul piano etico i problemi da valutare in tema di aborto volontario sono essenzialmente tre: 1. lo status biologico ed antropologico — e quindi etico e giuridico — dell'embrione umano; 2. il valore della vita umana in se stessa sin dal concepimento ed in relazione alle situazioni contingenti (malattia della madre, malattia del nascituro); 3. il comportamento del medico di fronte alla richiesta di interruzione volontaria di gravidanza e di fronte alla legge (obiezione di coscienza).
Considerando che l'embrione umano è individuo della specie umana con il valore di persona fin dal concepimento, ne consegue che l'aborto volontario o coatto è un delitto contro la vita personale, o meglio, contro la persona; è un omicidio sempre anche quando non venga sentito soggettivamente e psicologicamente come tale oppure il diritto non riconoscesse questa esteriore qualificazione. Ed anche se vi fosse il semplice dubbio sull'identità dell'embrione umano, saremmo di fatto obbligati ad astenerci da ogni atto soppressivo per evitare qualsiasi pericolo o rischio nei riguardi della persona umana. La morale, infatti, esige che ci si astenga non solo da un atto che è sicuramente male ma anche da un atto che potrebbe esserlo. In realtà agire nel dubbio circa il fatto che nel frutto del concepimento c'è o non c'è una persona umana vuol dire esporsi al rischio di sopprimere un essere umano, il che si configura in se stesso come un disordine morale.
Dunque, la vita dell'embrione umano non può essere subordinata a nessuna delle ragioni che spingono la donna a richiedere l'interruzione volontaria della gravidanza, siano esse ragioni economiche e sociali o eugenetiche. Anche qualora la posta in giuoco fosse la salute della madre, la vita del nascituro non può essere strumentalizzata dalla salute — bene secondario rispetto alla vita — della madre: occorrerebbe tenere invece presente che la maternità prevede, come ogni altro compito della vita, una percentuale di rischio. L'impegno della società, della scienza e dei singoli, deve essere orientato a prevenire con mezzi legittimi e leciti le situazioni di rischio a cui può essere esposta la donna in gravidanza, per garantirle una migliore assistenza ambulatoriale o ospedaliera, per orientare la politica sanitaria a sostegno della vita e non verso una facile soppressione.
La scienza è per la vita sia essa nata o non ancora: questo è l'impegno etico fondamentale. In quest'ottica bisogna valutare anche la situazione in cui i valori in giuoco siano la vita della madre e la vita del nascituro: non è possibile scegliere una vita piuttosto che un'altra: l'intervento medico, perciò, deve essere globale e finalizzato ad ottenere il bene di entrambi. Qualora un intervento terapeutico urgente sulla madre causi come evento anche prevedibile, ma non evitabile, la morte del feto, si deve parlare di aborto indiretto, per il quale vale il principio del duplice effetto o del volontario indiretto.
Qual è dunque l'impegno del medico? Quello di difendere la vita della madre e del bambino e di offrire tutti i mezzi terapeutici per assicurare la salvezza di entrambi: l'uccisione diretta non è un atto etico tanto meno medico. Ma può capitare che un medico, pur convinto dell'importanza di difendere la vita del nascituro, si scontri con la realtà del proprio paese che consente per legge l'aborto volontario: in tal caso il medico o ogni altro operatore sanitario — può fare obiezione di coscienza.
È da rilevare come in tema di aborto vi sia da parte di molti stati che lo hanno legalizzato una sorta di ripensamento sulle motivazioni che avevano portato a tale legalizzazione, vale a dire la speranza di contenere gli aborti clandestini e il rispetto dell'autonomia della donna. I dati relativi all'aborto volontario mostrano infatti come non vi sia alcuna modifica del numero di aborti clandestini le cui vittime — sempre molto numerose — si sommano a quelle che derivano dall'applicazione della legge. Dall'altra parte la sensibilità nei confronti della sacralità e della intangibilità della vita prenatale è sempre più forte anche in chi — per convinzioni "laiche" o semplicemente anticattoliche — ha votato a favore di una legge così discriminatoria come in Italia la legge n. 194/1978.
(Ciccone L., L'aborto, in Non uccidere. Questioni morali della vita fisica, Ares, Milano 1984, pp. 144-256; Concetti G. (a cura di), Il diritto alla vita, Logos, Roma 1981; Sgreccia E., Bioetica ed aborto, in Id. Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, Milano, 1988, pp. 239-285).