Antonio De Castro Mayer
LA LIBERTA' RELIGIOSA
In materia di libertà
religiosa nellordine civile, tre punti capitali, tra gli
altri, sono assolutamente chiari nella tradizione cattolica:
1) nessuno può essere costretto
con la forza ad abbracciare la Fede;
2) lerrore non ha diritti;
3) il culto pubblico delle
religioni false può eventualmente essere tollerato dai poteri
civili, in vista di un bene più grande da ottenersi o di un male
maggiore da evitarsi, però per se stesso deve essere represso
anche con la forza se necessario.
E' quello che si deduce, per
esempio, dai seguenti documenti:
a) Pio IX, Enciclica Quanta
Cura: "E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa
e dei SS. Padri [i seguaci del naturalismo] non dubitano di asserire:
"La migliore condizione della società essere quella, in cui non si riconosce
nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica
religione, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete". Dalla quale
idea di governo dello Stato, in tutto falsa, non temono di dedurre quellaltra
opinione sommamente dannosa alla Chiesa cattolica e alla salute delle anime,
chiamata deliramento dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di recente memoria,
cioè "La libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun
uomo, che si deve con legge proclamare e sostenere in ogni società bene costituita,
e essere diritto dogni cittadino una totale libertà, che non può essere
limitata da alcuna autorità vuoi civile, vuoi ecclesiastica, di manifestare
e dichiarare i propri pensieri, quali che siano sia di viva voce, sia per iscritto,
sia in altro modo palesamente ed in pubblico".»
b) Syllabus
di Pio IX: proposizioni condannate 77 e 78: «Ai tempi nostri non giova più tenere
la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia
altro culto.» «Quindi lodevolmente in alcuni paesi cattolici fu stabilito per
legge esser lecito a quelli che vi recano il pubblico esercizio del proprio
qualsiasi culto.»
c) Leone XIII, Enciclica Libertas:
«Nellordine sociale dunque la civile libertà, degna di questo nome, non
consiste già in far quel che talenta a ciascuno, ciò che anzi partorirebbe confusione
e disordine, che riuscirebbe in ultimo ad oppressione comune; ma in questo unicamente,
che con la tutela e laiuto delle leggi civili si possa più agevolmente
vivere secondo le norme della legge eterna [...].
«Considerata rispetto alla società,
la libertà dei culti importa non esser tenuto lo Stato a
professarne o a favorirne alcuno: anzi dover essere indifferente
a riguardo di tutti e averli in conto di giuridicamente uguali,
anche se si tratti di nazioni cattoliche [...].
«Iddio è quegli che creò luomo
socievole, e lo pose nel consorzio de suoi simili, affinché
i beni, onde ha bisogno la natura di lui, e chei,
solitario, non avrebbe potuto conseguire, li trovasse nellassociazione.
Laonde la società civile, proprio perché società, deve
conoscere e onorarne il potere e dominio sovrano. Ragione adunque
e giustizia del pari condannano lo Stato ateo o, chè lo
stesso, indifferente verso i vari culti, e ad ognuno di loro
largo de diritti medesimi.
«Posto pertanto che una religione
debba professarsi dallo Stato, quella va professata che è
unicamente vera, e che per le note di verità, che evidentemente
la suggellano, non è difficile a riconoscersi, massime in paesi
cattolici [...].
«Potestà morale è il diritto, e,
come si disse e converrà spesso ridire, è assurdo che la natura
ne dia indistintamente e indifferentemente alla verità e alla
menzogna, al bene ed al male. Le cose vere ed oneste hanno
diritto, salve le regole della prudenza, di essere liberamente
propagate, e divenire il più chè possibile comune
retaggio; ma gli errori, peste della mente, i vizi, contagio dei
cuori e dei costumi, è giusto che dalla pubblica autorità siano
diligentemente repressi per impedire che non si dilatino a danno
comune. Labuso della forza dellingegno, che torna ad
oppressione morale deglignoranti, va legalmente represso
con non minore fermezza, che labuso della forza materiale a
danno dei deboli. Tanto più che guardarsi dai sofismi dellerrore,
specialmente se accarezzanti le passioni, la massima parte dei
cittadini o del tutto non possono o non possono senza estrema
difficoltà [...].
«Per queste cagioni, senza
attribuire diritti fuorché al vero e allonesto, ella non
vieta che per evitare un male più grande o conseguire e
conservare un più gran bene, il pubblico potere tolleri qualche
cosa non conforme a verità e giustizia.»
d) Pio XII, allocuzione "Ci
riesce": «Un altra questione essenzialmente diversa è
se in una Comunità di Stati possa, almeno in determinate
circostanze, essere stabilita la norma che il libero esercizio di
una credenza e di una prassi religiosa o morale, le quali hanno
valore in uno degli Stati-membri, non sia impedito nellintero
territorio della Comunità per mezzo di leggi o provvedimenti
coercitivi, statali. In altri termini, si chiede se il "non
impedire", ossia il tollerare, sia in quelle circostanze
permesso, e perciò la positiva repressione non sia sempre un
dovere.
«Noi abbiamo or ora addotta lautorità
di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a Lui possibile e facile di
reprimere lerrore e la deviazione morale, in alcuni casi
scegliere il "non impedire", ossia il tollerare, sia in
quelle circostanze permesso, e perciò la positiva repressione
non sia sempre un dovere.
«Noi abbiamo or ora addotta lautorità
di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a lui possibile e facile di
reprimere lerrore e la deviazione morale, in alcuni casi
scegliere il "non impedire", senza venire in
contraddizione con la Sua infinita perfezione? Può darsi che in
determinate circostanze Egli non dia agli uomini nessun mandato,
non imponga nessun dovere, non dia perfino nessun diritto dimpedire
e di reprimere ciò che è erroneo e falso?
«Uno sguardo alla realtà dà una
risposta affermativa. Essa mostra che lerrore e il peccato
si trovano nel mondo in ampia misura. Iddio li riprova; eppure li
lascia esistere. Quindi laffermazione: Il traviamento
religioso e morale deve essere sempre impedito, quanto è
possibile, perché la sua tolleranza è in se stessa immorale --
non può valere nella sua incondizionata assolutezza. Daltra
parte, Dio non ha dato nemmeno allautorità umana un
siffatto precetto assoluto e universale, né nel campo della fede
né in quello della morale. Non conoscono un tale precetto né la
comune convinzione degli uomini, né la coscienza cristiana, né
le fonti della rivelazione, né la prassi della Chiesa. Per
omettere qui altri testi della Sacra Scrittura che si riferiscono
a questo argomento, Cristo nella parabola della zizzania diede il
seguente ammonimento: Lasciate che nel campo del mondo la
zizzania cresca insieme al buon seme a causa del frumento. Il
dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può
quindi essere una ultima norma di azioni. Esso deve essere
subordinato a più alte e generali norme, le quali in alcune
circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il
partito migliore il non impedire lerrore, per promuovere un
bene maggiore.
«Con questo sono chiariti i due
princìpi, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la
risposta alla gravissima questione circa latteggiamento del
giurista, delluomo politico e dello Stato sovrano cattolico
riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del
contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la
Comunità degli Stati. Primo: ciò che non risponde alla verità
e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né allesistenza
né alla propaganda, né allazione. Secondo: il non
impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive
può nondimeno essere giustificato nellinteresse di un bene
superiore e più vasto.
«Quanto alla seconda proposizione,
vale a dire alla tolleranza, in circostanze determinate, alla
sopportazione anche in casi in cui si potrebbe procedere alla
repressione, la Chiesa -- già per riguardo a coloro, che in
buona coscienza (sebbene erronea, ma invincibile) sono di diversa
opinione -- si è vista indotta ad agire ed ha agito secondo
quella tolleranza, dopo che sotto Costantino il Grande e gli
altri Imperatori cristiani divenne Chiesa di Stato, sempre per più
alti e prevalenti motivi; così fa oggi e anche nel futuro si
troverà di fronte alla stessa necessità. In tali singoli casi latteggiamento
della Chiesa è determinato dalla tutela e dalla considerazione
del bonum commune, del bene comune della Chiesa e dello Stato nei
singoli Stati, da una parte, e dallaltra, del bonum commune
della Chiesa universale, del regno di Dio sopra tutto il mondo.»
(1)
Non si concilia con i documenti
sopra citati la dottrina della Dignitatis Humanae
riguardo questa materia. Infatti nel n. 2 si legge: «Questo
Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto
della libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è
che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da
parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia
potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia
forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro
debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o
pubblicamente, in forma individuale o associata.»
Il testo è chiaro e a rigore
dispensa da commenti. Cè, secondo la Dichiarazione, un
vero diritto (2) alla libertà religiosa nel
senso indicato. Limmunità dalla coercizione è presentata
come un diritto di tutti in relazione a tutti: individui, gruppi
e Stato.
Si noti, perciò, che la
Dichiarazione non considera situazioni concrete anche se molto
frequenti che consiglierebbero la permissione, la tolleranza
del culto falso. Al contrario, il testo prescinde dai fatti
concreti e stabilisce come principio che ogni uomo ha il
diritto di agire secondo la propria coscienza, in privato come in
pubblico, in materia religiosa.
I limiti alla libertà religiosa
stabiliti dalla Dichiarazione ("entro i dovuti limiti")
non sono sufficienti, alla luce dellinsegnamento
tradizionale dei Papi, per liberarla dai difetti segnalati (3).
Più avanti il testo conciliare
continua: «Questo diritto della persona umana alla libertà
religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile
nellordinamento giuridico della società.»
Il testo è chiaro. Il motivo per
cui la Dichiarazione desidera che la libertà religiosa, nei
termini indicati, si converta in diritto civile, consiste nel
fatto che, già prima di qualsiasi disposizione legale, luomo
avrebbe questo diritto. Si tratterebbe perciò di un vero diritto
naturale (4).
Ebbene, questo principio si oppone allinsegnamento dei Papi
precedenti.
Quel che causa perplessità è il
fatto che la Dignitatis Humanae non soltanto
difende la libertà religiosa in termini che discordano con la
tradizione, ma afferma "ex professo" -- peraltro senza
addurre le prove -- che la sua posizione non si scontra con gli
insegnamenti tradizionali: «E poiché la libertà religiosa,
che gli esseri umani esigono nelladempiere il dovere di
onorare Iddio, riguarda limmunità dalla coercizione nella
società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale
cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la
vera religione e lunica Chiesa di Cristo.»
Ora, la tradizionale dottrina
cattolica circa il dovere morale degli uomini e delle società
in rapporto alla Chiesa Cattolica, ha sempre insegnato che la
vera religione deve essere favorita e sostenuta dallo Stato,
mentre il culto pubblico e il proselitismo delle false religioni
devono essere impediti, se necessario con la forza (malgrado
possano, evidentemente, essere tollerati in considerazione di
determinate circostanze concrete). E questo la tradizionale
dottrina cattolica ha sempre insegnato essere un dovere
morale, nel senso esatto del termine. E qualcosa che le
società, come creature di Dio, devono in modo assoluto
alla religione vera.
Nel numero 2 della Dignitatis Humanae, si legge: «A motivo della loro dignità
(5) tutti
gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione
e di libera volontà, e perciò investiti di personale
responsabilità, sono dalla toro stessa natura e per obbligo
morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella
concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla
verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la toro vita
secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri
umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla
loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello
stesso tempo dellimmunità dalla coercizione esterna. Non
si fonda quindi il diritto alla libertà religiosa su una
disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura.
Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro
che non soddisfano allobbligo di cercare la verità e di
aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato
l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito.»
E' evidente, perciò, che la
Dichiarazione non rivendica la libertà religiosa soltanto per
gli adepti di altre religioni, ma per tutti gli uomini. Pertanto,
anche per quelli che non abbracciano nessuna religione e per
quelli che negano lesistenza di Dio. Anche questi, secondo
la Dignitatis Humanae, possono professare
pubblicamente i loro errori e fare propaganda delle loro
irreligiosità. Non vediamo come la Dichiarazione possa non
trovare in opposizione con la tradizione cattolica questo strano
"diritto" al proselitismo ateistico.
A sostegno del suo concetto di
libertà religiosa, la Dichiarazione conciliare adduce alcuni
testi pontifici. Essi sono: lEnciclica Pacem in Terris
di Giovanni XXIII, AAS 1963, pp. 260-261; il
Radiomessaggio Natalizio del 1942 di Pio XII, AAS 1943, p. 19, lEnciclica
Mit Brennender Sorge di Pio XI, AAS 1937, p.
160, lEnciclica Libertas di Leone
XIII, Acta Leonis XIII, 8, 1888, pp. 237-238.
Esaminiamo brevemente questi
quattro testi pontifici.
Quello dellEnciclica Libertas
di Leone XIII dice così:
«Non meno celebrata delle altre è la libertà così detta
di coscienza, la quale se prendasi in questo senso che ognuno sia
libero di onorare Dio o di non onorarlo, dagli argomenti recati
di sopra è confutata abbastanza. Ma può avere ancora questo
significato, che luomo abbia nel civile consorzio diritto
di compiere tutti i suoi doveri verso Dio senza impedimento
alcuno. Questa libertà vera e degna dei figli di Dio, che
mantiene alta la dignità delluomo, è più forte di
qualunque violenza ed ingiuria, e la Chiesa la reclamò e lebbe
carissima ognora.»
Può un tale testo costituire una
genuina difesa della libertà religiosa nel senso di immunità da
coercizione esterna per il seguace di qualsiasi religione? Lespressione
«nulla re impediente» dà a questo testo il
significato di una libertà religiosa nel senso sopra indicato?
Il senso reale del testo non avalla
una simile interpretazione. Infatti, parlando della libertà per
seguire la volontà di Dio ed eseguire i Suoi ordini, il testo
colloca faccia a faccia luomo da una parte, la volontà di
Dio e i Suoi ordini dallaltra. E chiede per luomo la
facoltà di eseguire questa volontà e questi ordini senza
impedimenti. Si capisce subito che il testo parla della volontà
di Dio e dei Suoi ordini come si presentano ufficialmente ed
obiettivamente. Daltronde, linterpretazione
favorevole al testo della Dignitatis Humanae
sarebbe talmente opposta a tutto il contesto dellEnciclica
che è difficile comprendere come possa valersi di esso il testo
conciliare. Leone XIII, che aveva appena difeso la "repressione"
contro quelli che oralmente o per scritto diffondono lerrore
(op. cit. p. 196), non potrebbe poi contraddire se stesso!
Il senso della libertà ivi difeso
da Leone XIII è chiaro. Come dice lo stesso testo, si tratta del
diritto di «seguire la volontà di Dio e di compiere i Suoi
precetti» daccordo con «la coscienza del dovere».
Questa libertà, secondo la stessa Enciclica, ha «per oggetto un
bene conforme alla ragione» (n. 6, cfr. nn. 69); non si
oppone al principio per cui la Chiesa concede diritti soltanto «a
quello che è vero e onesto» (n. 41); ed è qualificata
come «legittima e onesta» (n. 16), per opposizione
alla libertà di cui parlano i liberali radicali o moderati.
Inoltre il contesto prossimo del
passo della Libertas che stiamo analizzando,
dà ancora più risalto al suo vero significato che non è quello
che la Dignitatis Humanae gli vuol
attribuire.
Infatti, la Commissione del
Segretariato per lUnione dei Cristiani, citando il testo
teste analizzato (cfr. opuscolo "Schema Declarationis de
Libertate Religiosa", 1965, p. 19), ha trascritto solo
il passo che sopra abbiamo riportato. Se questa citazione si
fosse estesa ancora per qualche rigo, si sarebbe visto subito che
il passo non si riferisce alla libertà religiosa nel senso di
immunità da coercizione esterna contro la diffusione di
religioni false. Poiché, di seguito, la Libertas
dice:
«Siffatta libertà
rivendicarono con intrepida costanza gli Apostoli, la sancirono
con gli scritti gli Apologisti, la consacrarono gran numero di
Martiri col proprio sangue.»
Ora, la libertà religiosa nel
senso di immunità da coercizione esterna per le religioni false,
la stessa Dignitatis Humanae non la difende
come insegnata espressamente dagli Apostoli, ma dichiara soltanto
che «ha radici nella rivelazione divina». Come
potrebbe perciò dire Leone XIII che gli Apostoli costantemente
rivendicavano per sé questa libertà?
E, soprattutto, come potrebbe Leone
XIII dire che «una moltitudine innumerevole di Martiri»
ha consacrato questa libertà col proprio sangue? Non abbiamo
notizia di nessun martire che sia morto per difendere il "diritto"
dei nicolaiti, degli gnostici, degli ariani, dei protestanti o
degli atei a diffondere i loro errori. E, soprattutto, sarebbe
singolare parlare di una «moltitudine di martiri» che
abbiano versato il loro sangue con tale intenzione. Torna perciò
evidente che il tratto citato della Libertas
non riguarda la libertà religiosa nel senso di immunità da
coercizione esterna per i divulgatori dellerrore.
Immediatamente allinizio del
paragrafo seguente, Leone XIII dichiara:
«Nulla di comune ha [questa
libertà cristiana] con lo spirito di sedizione e di rea
indipendenza, né deroga punto al debito ossequio verso il
pubblico potere, il quale intanto ha diritto di comandare e
obbligare in coscienza, in quanto non discorda dal potere di Dio,
e nellordine stabilito da Dio si mantiene. Ma quando si
comandano cose apertamente contrarie alla divina volontà, allora
si esce da questordine e si va contro al volere divino e
quindi non obbedire è giusto e bello.»
Ora, l'«ubbidienza dovuta al
pubblico potere» e il diritto dei cittadini di disubbidire
alle leggi umane ingiuste non dimostrano la libertà religiosa,
nel senso di immunità da coercizione esterna nella pratica delle
false religioni. Ciò riguarda la vera libertà, che è la facoltà
di fare il bene, di seguire la volontà di Dio, di praticare la
religione cattolica, senza essere in questo impedito da nessuno.
Più avanti, il testo della Libertas;
è ancora più chiaro:
«Ai liberali al
contrario, che fanno padrone assoluto e onnipotente lo Stato, e
che inculcano di vivere senza curarsi minimamente di Dio, questa
libertà, congiunta a onestà e religione, è affatto ignota;
tantoché ciò che altri faccia per mantenerla è, a giudizio
loro, delitto e attentato contro lordine pubblico.»
Ora, sarebbe totalmente assurdo
dire che i liberali sono contrari alla libertà religiosa nel
senso di immunità da coercizione esterna per la diffusione delle
religioni false. Si rende chiaro, perciò, che Leone XIII propone
ivi quella libertà «legittima ed onesta» da lui stesso
definita e difesa precedentemente nella stessa Enciclica (cfr. p.
186), nel cui nome possiamo e per principio dobbiamo opporci alle
leggi ingiuste.
Queste considerazioni sul testo
della Libertas, citato dalla Dignitatis Humanae, rendono facile la comprensione anche del vero
senso degli altri passi che la Dichiarazione conciliare cita
nello stesso luogo.
Quando la Mit Brennender Sorge rivendica, contro il nazismo, il diritto del
fedele a conoscere e praticare la religione (6), il
testo di fatto non afferma che lerrore gode dellimmunità
nellordine civile. Daltronde, sarebbe inconcepibile
che, in quattro brevi righe, Pio XI pretendesse difendere una
nuova nozione cattolica di libertà, in opposizione con i Papi
precedenti. E' evidente che, nello stesso modo in cui Leone XIII
ha proclamato, in nome di questa libertà, il diritto di
resistere alle leggi ingiuste e oppressive dei governi liberali,
così anche Pio XI ha proclamato, in nome di questa stessa libertà,
il diritto di resistere al nazismo.
E quando Pio XII, durante la
seconda Guerra Mondiale, con una semplice frase ha rivendicato,
tra i diritti fondamentali delle persone, «il diritto al
culto di Dio privato e pubblico, compresa lazione
caritativa religiosa», il testo del suo Radiomessaggio non
affermava -- come abbiamo già osservato a proposito della Mit Brennender Sorge -- il diritto al culto falso reso a
Dio in una religione non vera. Al contrario, il suo senso
naturale è che alluomo sia riconosciuto il diritto di
rendere a Dio il vero culto, una volta che questo soltanto è il
culto a Lui dovuto.
Inoltre, è evidente che Pio XII
non intendeva modificare la dottrina cattolica riguardo a questa
materia, ma difendeva soltanto la libertà «legittima e onesta»
tanto chiaramente spiegata da Leone XIII. Tanto più che Pio XII,
nellallocuzione "Ci riesce", dove ha
trattato "ex professo" della questione, nega
qualsiasi diritto a ciò che non corrisponde alla verità e alla
norma morale.
Lo stesso dicasi del brano di
Giovanni XXIII citato dalla Dignitatis Humanae.
Esso dice:
«In hominis iuribus hoc quoque
numerandum est, ut et Deum, ad rectam conscientiae suae normam,
venerari possit, et religionem privatim publice profiteri.»
Poiché il testo dice: «secondo i retti
dettami della propria coscienza», e non «secondo i dettami
della propria coscienza retta» (come hanno voluto
certuni), si rende chiaro che Giovanni XXIII parla qui nello
stesso senso di Leone XIII nella Libertas.
Questa interpretazione si impone ancora più chiaramente se
consideriamo che, per chiarire il senso del passo indicato,
Giovanni XXIII trascrive, nello stesso testo principale della
Pacem in Terris, una pagina di Lattanzio e
una di Leone XIII. Quella di Lattanzio si riferisce al «rendere giusti
e dovuti onori a Dio», mentre quella di Leone XIII è
esattamente la stessa che abbiamo sopra commentato («Haec
quidem vera, haec digna filiis Dei libertas...»).
Al termine di questo studio,
giudichiamo opportuno risolvere unobiezione che potrebbe
essere formulata come segue:
La Dichiarazione Dignitatis Humanae è stata approvata dalla maggioranza dellEpiscopato.
Non sarebbe perciò garantita dal carisma dellinfallibilità
o almeno, come documento del Magistero Ordinario, non
obbligherebbe tutti i fedeli?
Rispondiamo con le seguenti
osservazioni:
1 - Come è stato ufficialmente
dichiarato, il Concilio Vaticano II non ha avuto intenzione di
fare nuove definizioni solenni. Perciò anche la Dichiarazione
Dignitatis Humanae non è garantita dal
carisma dellinfallibilità, inerente alle definizioni
solenni.
2 - Ciò nonostante, una
risoluzione presa dalla maggioranza dellEpiscopato riunito
in Concilio e approvata dal Sommo Pontefice obbliga tutti i
fedeli, anche se non viene con la garanzia dellinfallibilità.
3 - Questobbligo però cessa,
come succede con la Dignitatis Humanae,
quando si verificano nello stesso caso le due seguenti condizioni:
a) è manifesto che lEpiscopato universale non ha avuto lintenzione
di vincolare in maniera definitiva le coscienze, e inoltre, b) è
anche chiaro che tale documento dellEpiscopato universale
è in contrasto con una dottrina già data come certa dal
Magistero Ordinario di una lunga serie di Papi.
Disponibile in volumetto a € 1,00