Bisogna aggiungere un’altra cosa. Una parte della Borghesia pel solo fatto che l’ira demagogica si limitava a bruciar conventi respirava tranquilla. Notavano che intanto le loro fabbriche e la borsa erano al sicuro, e pur col pietoso proposito di qualche aiuto per ricostruire i tempii incendiati, godevano nell’intimo che altri levasse le castagne dal fuoco per loro conto, e continuavano allegramente la solita vita spensierata, come se niente fosse.
Solo tre giorni dopo l’inizio della Tragedia del Luglio 1936 un Industriale in un convegno dell’Ateneo Barcellonese, presente uno degli autori di questo Libro, diceva — mentre tutte le Chiese di Barcellona stavano bruciando: Grazie a Dio (?) pare che le cose si mettano bene. Oramai si sono sfogati: la settimana prossima potremo ricominciare la vita normale.
Certi Conservatori vivevano realmente nella “città allegra e confidente”. Non si davano conto che quella propaganda anticlericale e quell’azione marxista, facilitata o tollerata dalle Autorità, avrebbe finito per essere disastrosa ad essi medesimi. Il grande Apologeta popolare, Dr. Sardà y Salvany, aveva parlato qualche volta dei “Campanili e ciminiere”, e volea dire che quando i primi saranno distrutti verrà il turno delle altre; dopo il crollo dei campanili verrà fatalmente la distruzione e l’accaparramento di ogni fonte di ricchezza e la persecuzione dei suoi rappresentanti; in sostanza la caccia al ricco! Ricordiamo ancora una similitudine di Maragall in un articolo sopra il silenzio delle campane: quando le campane taceranno, veniva a dire, i campanili serviranno di vedetta alla Guardia Civile.
Quando Francesco Cambò descrisse meravigliosamente quel tipo simbolico dell’“anarchico di Tarrasa” molti — forse perché si sentivano posto il dito nella piaga e non lo volevano confessare — lo prendevano in giro e sorridevano sotto i baffi. Invece l’“Anarchico di Tarrasa” non era uno solo, ma una legione di Anarchici. Il padrone che lesinava sui salarii, che reclutava i “forestieri” per poi pagarli di meno (quei medesimi forestieri che poi lo assassinarono), che rifiutava sistematicamente qualunque riforma nei contratti di lavoro, che tacciava di imprudenza le Encicliche del Papa sulla questione sociale e si indignava contro i Predicatori che le commentavano, che tradiva sua moglie e trascurava i figli, che all’infuori della messa di mezzogiorno che sentiva alla domenica, in tutto il resto era un perfetto pagano, e con metodi da “parvenu”, egli coi suoi figli (inconsapevoli del come si guadagna la vita) dilapidava le sue ricchezze scandalosamente, quel padrone oltre che un pessimo esempio pei suoi operai era esso stesso un anarchico senza saperlo.
Ed operava ancora come anarchico, quando per la sua mancanza di chiaroveggenza o, diciamo anche, per sovrabbondanza di egoismo — malgrado i profitti di guerra — si addivenne al fatto che tutte le migliorie degli operai i Padroni dovevano concederle per forza, iugulati dalla violenza degli organismi sindacali di azione diretta.
Questo tipo di “Anarchico di Tarrasa” non si dava conto che mentre il suo prestigio cadeva ben basso, la forza del sindacalismo anarchico senza nessun controllo, aumentava spaventosamente. L’operaio che dai padroni e dallo Stato era lasciato praticamente senza difesa, per amore o per forza doveva iscriversi nei sindacati marxisti, i quali gli assicuravano subito il pane e per l’avvenire promettevano il paradiso sovietico, ma a patto di vendere la sua anima e di rendersi schiavo. La schiavitù dell’operaio sotto la dittatura sindacalista è un tema che — comunque trattato magistralmente da Ramon Rucabado — sarà bene studiarlo a fondo un qualche giorno.
Il fatto era questo: che il 70% dei Padroni incoscientemente davano la spinta all’avanzata anarchica. Sappiamo di qualche Padrone che, essendoglisi presentato un suo operaio — di fedeltà assoluta alla casa in cui lavorava da oltre 30 anni e che non era sindacato — al quale imponevano di iscriversi oppure di lasciare il lavoro, allo stesso che gli domandava consiglio rispose semplicemente: “Fa quel che credi; arrangiati!”
Quando un Sindacato prendeva di mira un operaio fedele agli interessi della Casa, il sistema era di minacciare uno sciopero se lo stesso non era licenziato. E molte volte eran sacrificati i migliori operai. Quelle frasi sciagurate e anticristiane “contento io contenti tutti” “arrangiati” ecc. non facevano che suscitare degli anarchici. Lo stesso Dr. Sardà y Salvany che conosceva così a fondo gli ambienti delle fabbriche, soleva dire che se egli avesse perduto la fede cristiana sarebbe diventato il peggiore degli Anarchici. E’ la logica dell’Ateismo.
Vi è in Catalogna e nelle restanti regioni della Spagna una buona parte di Padroni modello — potremmo dare una buona lista di nomi rispettabilissimi — però al contrario se ne contavano molti altri che consideravano la mano d’opera, l’elemento umano del lavoro, con meno interesse delle materie prime e del macchinario. La propaganda anticlericale metteva tutta la sua cura nel pareggiare ed identificare questo tipo di padrone col sacerdote, e l’operaio si avvezzava a considerar l’uno e l’altro come i suoi peggiori nemici.
Le sinistre liberali spagnuole hanno sempre avuto un debole verso le tendenze socialiste, pur conservandosi borghesi di grande stile. La storia dei partiti liberali spagnuoli sarebbe una cosa molto curiosa e sicuramente molto deplorevole. Sarebbe una storia di abulia politica, di vigliaccheria, di fare e disfare, di incapacità, di piccole furberie e di mezzi termini, di tutto, meno che di una onorevole condotta di Governo. Per cattivarsi le masse, per evitare noie, era igienico di quando in quando attuare la commedia anticlericale, pura commedia che si trasformò in una spaventosa tragedia.
Con l’avvento della Repubblica la fusione liberale socialista diventò un fatto. Alcalà Zamora, Michele Maura, Nicolau d’Olwer ed il più funesto di tutti, Casares Quiroga, formarono governo e combutta con Largo, Prieto, de los Rios, Albornoz, Domingo, ecc. il fiore di ogni partito. Cominciò così la seconda Repubblica spagnuola “dei Lavoratori”, sguaiatamente laica ossia settaria. Per celebrare solennemente il glorioso avvenimento, si bruciò una gran quantità di chiese e conventi, scuole religiose con officine e laboratorii, archivii (furono persino distrutti gli autografi di Santa Teresa di Gesù) ecc. In Ispagna il “giubilo del popolo” e l’entusiasmo per la libertà si manifesta e si sfoga con un certo numero di distruzioni, di incendi e di crudeltà. E’ il popolo più assurdo dell’universo.
I padri della “bambina che nacque triste”, secondo la frase di J. Ortega Gasset, furono naturalmente gli intellettuali dell’Ateneo di Madrid e del “Libero Istituto di insegnamento”, molti dei quali, come Unamuno, Ortega, Marañon, Sanchez Roman ed altri furono sopraffatti dal loro stesso snobismo. Conveniva bene a loro far la parte del Razionalista, dello scettico per le cose sacre, dello spirito libero (che è poi il più paradossale sarcasmo del mondo), del socialista più o meno elegante, senza pensare alle conseguenze di una attitudine che l’inflessibilità della logica dei fatti avrebbe dimostrata tragica. Lo “snobismo universitario” ha facilitato il passo alla barbarie moscovita trapiantata in Ispagna.
Venne poi il “Fronte Popolare”. Con una fretta fantastica — fretta di ladro autentico — e col risultato incerto delle elezioni del 16 febbraio, che dovevano essere vittoriose a qualunque costo, vollero il potere e lo presero canagliescamente d’assalto, come veri “Gangster” di Stato. La discussione e approvazione dei deputati eletti dalla Camera fu di una esemplarità tipicamente di sinistra spagnuola, cioè disonesta. Le destre ottennero 4.910.618 voti contro 4.497.696 del Fronte Popolare, e non ostante, quest’ultimo, con mezzo milione di voti in meno, ebbe cinquanta deputati in più delle destre, ossia, con minori suffragi conseguì una maggioranza di deputati. E che maggioranza! Qualunque lavoro legislativo divenne impossibile. Lo scandalo più sistematico era all’ordine del giorno come la sfrenatezza più volgare e nauseante.
Il “popolo sovrano”, spadroneggiava sulla strada senza alcun ritegno; manifestazioni con bandiere rosse e scritte sovietiche, cortei di ragazze e giovinastri col pugno in alto al canto dell’“Internazionale” e grida di “viva e morte” a squarciagola, distruzione di chiese, aggressioni a mano armata, rapine ed assassinii a mansalva, assalti... Tutto ciò rappresentava, secondo Azaña, il “giubilo del popolo”.
Il “Fronte Popolare” finì per essere monopolizzato ed alla mercede del socialismo e dell’Anarchismo. E l’uno e l’altro, sotto l’impulso e agli ordini di Mosca, hanno fatto della Spagna quello che hanno voluto, un terribile campo di battaglia dove lottano fino all’ultimo sangue la barbarie contro una civiltà che non vuol morire e dove si uccidono fra loro i figli di una stessa patria.
E dire che molti borghesi, ora fuggiaschi e perseguitati, avevano votato tranquillamente a favore delle Sinistre del “Fronte Popolare”!
Il liberalismo ha preparato la strada al comunismo. Di qui la sua enorme diffusione. Il Comunismo ateo, come il socialismo di tutte le ramificazioni, si basa sul concetto del materialismo storico; vuole inaugurare un’altra epoca ed un’altra civiltà, frutto di una evoluzione puramente animale; una umanità senza Dio (1).
Il Socialismo ed il Comunismo, — che è in realtà una stessa cosa — rappresentano in ultima analisi la sovversione premeditata e sistematica dell’Ordine sociale, equivalgono alla distruzione dei suoi nessi fondamentali, come la religione, la morale, la famiglia, la proprietà privata, la iniziativa individuale; pretendono di prescindere assolutamente dal diritto naturale e di falsare il vero significato dello Stato; negano tutti i diritti della personalità umana, della sua dignità e della sua libertà.
Naturalmente un sistema così saturo di errori e di sofismi — approfittando di tutte le ingiustizie sociali accumulate dal liberalismo economico — ha potuto coll’illusione delle più strabilianti promesse guadagnarsi gran parte delle masse ignoranti e cupide, allontanate dalla Religione, e farle vibrare colla prospettiva di un paradiso utopistico a favore delle classi proletarie. Però non si può calpestare impunemente la legge naturale, né Iddio che l’ha creata, ed è per questo che il Comunismo che non potrà mai conseguire il suo intento né dare quel che promette, nemmeno nell’aspetto puramente economico, deve ricorrere al terrorismo ed alla schiavitù, che sono le armi su cui conta per imporsi al mondo civilizzato, la “Dittatura del proletariato”.
Necessariamente il Comunismo ateo deve mettersi in lotta contro i principii cristiani che sono la sua antitesi e conseguentemente contro la Chiesa Cattolica che è rappresentante dell’autentico Cristianesimo, ed è perfettamente naturale che le dichiari guerra a morte e si schieri in armi contro di essa l’esercito universale dei “Senza Dio”. Con questo intento, cioè per combattere la Chiesa, l’ateismo mira alla distruzione del Sacerdozio e dei templi: è necessario formare una generazione che non conosca il Sacerdote e non senta la nostalgia del tempio. D’altra parte, attaccare di fronte i principi cristiani non è cosa né facile né di sicura riescita; è più semplice coprire di fango e porre in ridicolo i sacerdoti per suscitare l’odio contro quello che essi rappresentano. E questo, in definitiva, è stato sempre il lavorio dell’Anticlericalismo.
Abbiamo già accennato che la propaganda antireligiosa si associava sempre alla pornografia. Fin dall’inizio della catastrofica Repubblica del 1931, sbocciò rigogliosa come la mal’erba, una gran quantità di giornali di enorme tiraggio, come “La Traca”, “El frailazo” ecc. che rappresentarono non solo un insulto alla più elementare onestà ma ben anche alla pubblica pudicizia. Quella cloaca che venne ad aumentare il sudiciume già esistente si diffondeva dappertutto. Ed il volgo diguazzava in quel pantano ghignazzando! Ci piace annotare un caso che viene a dimostrare il concetto che quella propaganda aveva ficcato nella testa della gente volgare sopra i frati ed i Curati. Quando gli scamiciati del quartiere della “Torrassa” vennero ad incendiare il Convento dei Cappuccini di Sarrià (Barcellona), un giovane frate era stato posto alla porta per informarsi di ciò che poteva succedere. Al giungere degli incendiarii, tra i quali figurava anche qualche ragazza armata, il frate finse di essere un servo del Convento. La prima domanda che gli fu fatta fu questa: “Quante donne aveva ogni frate”? Rispose che non aveva mai visto donne nella clausura. “Asino che sei! I frati tengono tutte le donne che vogliono, e sanno bene tenerlo nascosto ai servi” ecc. Quei gaglioffi degenerati non facevano che ripetere quel che avevano letto nella “Traca”.
Altro aneddoto. Pochi giorni dopo l’avvento della Repubblica, uno degli autori di questo libro incontrò per la strada un monello che bestemmiava stupidamente; gli disse: “Perché dici queste parolaccie?” Rispose il ragazzo: “Ora è venuta la Repubblica e la libertà”.
Era questo il concetto che molti si erano formato sui frati e la libertà.
La vasta propaganda antireligiosa che per molti anni dilagò e fu permessa per non urtare il “libero pensiero” e la libera esposizione delle idee, per sovversive e sudicie che siano, — che è una delle glorie del liberalismo — ebbe il suo massimo sfogo colla Repubblica.
Il laicismo settario più avariato e antiquato del mondo, era largamente propagato di luogo in luogo da quelle “missioni culturali” di cui si era dato l’incarico ad una frotta di socialisti irresponsabili che dovevano così giustificare i lauti stipendi di cariche fittizie. I discorsi ministeriali di Marcellino Domingo (il quale faceva uso di un disco unico “la scuola unica e laica”) di Albornoz, de los Rios, Barnes ecc. e quelli dei cosidetti “cinghiali parlamentari” sono così vergognosamente volgari che fanno schifo. Peggio di tutte fu la propaganda della scuola. Una schiera di maestri e di maestrine semianalfabeti, ma settari per convinzione o per convenienza, si riversò sulle scuole municipali e nazionali. Non bastava la soppressione del Crocifisso e di tutte le immagini religiose; era d’uopo formare “i cittadini della Repubblica”, e per conseguire tale intento si obbligavano i piccini a calpestare l’immagine del Crocifisso, a bestemmiare e cantare canzoni da trivio. Del pervertimento delle scuole si può avere una idea perfetta leggendo la relazione fedelissima di Stefano Busquets intitolata “l’Anticristo nelle scuole”. Anche nelle scuole l’anticlericalismo andava unito alla più grossolana immoralità. Non si dimentichi la famosa Scuola di infermiere della “Generalidad” e le gesta dei dirigenti, Dr. Rofes e compagnia.
I concorsi per l’assunzione dei maestri e maestre tanto a Madrid che a Barcellona, alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione o della Consiglieria della “Generalidad”, davano luogo alla farsa più scandalosa dell’Europa. Era una scelta arbitraria e ripugnante. I “Laici” non potevano avvicinarsi, nemmeno da lontano, al metodo d’insegnamento delle Congregazioni Religiose e perciò anelavano a sopprimerne le scuole, anche se migliaia di bambini ne rimanessero privi. Vanno ricordate le sollecitazioni dei “Lavoratori dell’insegnamento” che miravano ad impadronirsi dei collegi religiosi e dei lasciti generosi dei signori Domingo e Barnés. In fatto di insegnamento si rese famoso il Consigliere della “Generalidad”, Ventura Gassol. Ricordiamo un foglietto illustrato in edizione di lusso a cura dell’“Ayuntamiento” di Barcellona nel quale si trattava della sua opera culturale. Vi si faceva sfoggio di fotografie dei nuovi edifici creati dall’“Esquerra”, i quali, all’infuori degli edifici inaugurati, e progettati dall’antica “Mancomunidad”, non erano altro che i collegi di Sarrià, Caspe e Balmes rubati ai Gesuiti! L’insegnamento che si imponeva alle scuole, a base di un feroce anticlericalismo, era molto peggiore che quello in uso nelle più rudimentali scuole della Turchia asiatica.
Di questa guisa la cultura ufficiale preparava le nuove generazioni di ragazzacci che dovevano superare i discepoli delle “Scuole Moderne” di Ferrer y Guardia, esaltato pubblicamente dall’ex seminarista Ventura Gassol.
Molto peggiore del disordine nelle scuole fu lo scandaloso arbitrio governativo. Nei municipi furono reintegrate d’autorità quelle Giunte, Commissioni e Consigli rivoluzionari, così detti del “14 Aprile” del 31, che sospesi per numerosissime malversazioni pienamente comprovate, nonché ruberie e violenze, furono riabilitati in blocco dai Governi del 1936. Municipi eletti legalmente nel 1933 furono sciolti prima della scadenza; le Sinistre mandavano in tutti i luoghi Commissioni provvisorie, che godevano della maggiore impunità e facevano di ogni erba fascio. Si creavano Alcaldi uomini della peggior risma di ciascun paese, gente senza professione conosciuta; alcuni invece erano noti ladri, ex galeotti, come l’alcalde di Borjas del Campo e la maggior parte dei banditi che hanno tiranneggiato le popolazioni di Penedès, di Tarragona, di Reus ecc. Quando si scriverà la storia del Governo della Sinistra salteranno fuori cose dell’altro mondo sconosciute anche nell’antico “cacichismo”. Quello che succedeva nelle popolazioni era qualche cosa di somigliante a ciò che si racconta delle tribù africane. Era una dittatura scamiciata, che è la peggiore di tutte le dittature. Le sinistre e la “Esquerra” sciorinarono al sole tutte le sudicerie della loro ignobile volgarità. A ciò seguivano naturalmente le più clamorose manifestazioni anticlericali. I curati e le persone militanti in campi avversi erano oggetto di minaccie e peggio ancora; si arrestava senza motivo alcuno, si destituiva, si perseguitava. Le popolazioni erano letteralmente in mano di banditi e costoro facevano e disfacevano a loro piacimento, senza il minimo controllo delle Autorità Superiori, le quali, o per viltà o per complicità rimanevano a braccia conserte.
Tutte le sinistre borghesi senza eccezione, tutti i miserabili piccoli partiti che servivano a inconfessate ambizioni, tutta la scoria della Spagna vestita delle mentite spoglie di democrazia e di libertà, furono assorbite, invigliacchite dalla demagogia, dalla “Confederazione”. Generale del Lavoro e dalla cannibalesca F.A.I. Queste Sinistre del “Fronte Popolare” consegnarono il paese al sadismo dei barbari. Su di esse cade la piena responsabilità del disastro spagnuolo.
Ad ogni moto rivoluzionario seguiva una tragedia nei comuni e nei villaggi; date come quella del 6 Ottobre ’33 e 16 Febbraio del ’36, non solo ci rammentano il vandalismo dei Minatori e non Minatori delle Asturie e la stupida avventura della “Generalidad Esquerrana” ma ben anche le ruberie, le carcerazioni e gli assassinii che si commettevano in ogni parte contro le persone di qualche notabilità. E queste enormità senza nome venivano perpetrate impunemente dagli Alcaldi della dittatura e dai banditi che dominavano la situazione. Non si ha idea della demoralizzazione che tutto ciò importava; era la sovversione di tutti i valori morali e sociali e la preparazione logica della sanguinosa tragedia. In Tarragona per esempio, in occasione del giuramento della Bandiera fu invitato alla cerimonia il Vescovo Ausiliare. Un ferroviere appena uscito dal carcere per furto, messosi a capo di un gruppo di compagni della sua risma, assaltò il Comune ed ottenne la destituzione del Colonnello della Guarnigione e dell’Alcalde della Città. Ciò accadde prima del 19 Luglio.
Si aggiunga a questo il movimento suscitato nella campagna. Nei grandi latifondi dove duravano ancora i cosidetti “salari di fame” si poteva capire questo movimento, poiché i poveri lavoratori e braccianti, abbandonati dai pubblici poteri, traevano una vita impossibile. In Catalogna invece il movimento “rabassaire” creato artificialmente da Companys, Aragay, Riera, Casanovas ed altri pescatori nel torbido costituì semplicemente un inqualificabile trucco elettorale. Si addivenne a questo fatto disastroso: che una situazione caotica, senza autorità responsabili, arbitraria ed anarchica finì per diventare una situazione normale!
Sistematicamente, come già accennammo, si allontanarono le masse, sopratutto nei centri industriali, da qualunque influenza della Chiesa. Ascriversi ai sindacati voleva dire far professione di anticlericalismo, anche contro la volontà degli stessi operai. Costoro non avevano diritto di scelta, dovevano per forza iscriversi e pagar la quota nei sindacati rivoluzionarii; gli altri erano perseguitati, boicottati e licenziati dallo stesso Governo. L’operaio veniva avvelenato diabolicamente; i giornali che gli mettevano in mano, i comizi ai quali doveva assistere, le conversazioni nelle osterie, tutto costituiva un’atmosfera densamente pestilenziale. Gli si inoculava l’odio, sia pure imposto ed irrazionale, contro caricature di realtà che esso non conosceva.
Il socialismo fu padrone del campo in Andalusia ed in Estremadura, si accaparrò i minatori in ogni parte ed i “rabassaires” avidi di rapina ingrossarono il “Fronte Popolare”.
In molte case di contadini si addivenne a veri conflitti domestici. I vecchi volevano mantenere la parola data nei contratti anche verbali, si conservavano fedeli alle pratiche cristiane, mantenevano la luce dell’antico focolare domestico; i giovani disprezzavano tutto questo, non conoscevano rispetto, per loro il focolare era una specie di pensione dove poteva imperare ogni impudenza; il materialismo della vita aveva fatto il vuoto nella loro coscienza cristiana, e la sensualità dominava il loro cuore ed i loro sensi. E’ forse provvidenziale che questa generazione pervertita sparisca perché il popolo sia salvo?
Sarà necessario che molte cose e molte opere siano riforma te: non solo occorrerà riedificare i templi incendiati e distrutti, ma anche le coscienze e le anime di coloro che avranno ad occuparli.
Ciò che sconcerta è il fatto che in Ispagna sia stata possibile un’ecatombe così colossale che ha oltrepassato in barbarie quella della Russia e del Messico. E’ stata una furiosa e demoniaca ventata di distruzione ed una tigresca sete di sangue. Il peggio di tutto questo non è che sia stata la direzione dei Komintern o degli agenti stranieri a ridurre la Spagna ad una provincia asiatica o ad una colonia africana; è sopra tutto il fatto che si siano trovati spagnuoli tanto vili e ciechi da servir loro di docili strumenti, vendendo la loro patria in modo turpe ed indegno per meno di un piatto di lenticchie.
La consegna del Bolscevismo è stata di mirare alla distruzione della religione in Ispagna per sopprimere la personalità e la forza avita. Si mirò alla distruzione di tutto questo perché le prossime generazioni dimenticassero pur l’esistenza del Cattolicismo e si persuadessero che la storia della Spagna cominciava colla colonizzazione del comunismo russo.
La caccia all’uomo, specialmente ai sacerdoti ed ai religiosi, fu di una ferocia inaudita, senza, precedenti; massacri in massa, torture disumane, gente bruciata viva, oltraggi, violentamenti; furono commesse crudeltà che solo una mente in delirio può immaginare. Il numero delle vittime sacrificate dai comunisti atei va oltre il credibile. Da informazioni dell’Ufficio di Stampa di Salamanca (pubblicate nei giornali del 24 Marzo di quest’anno) risulta che solamente nella Città di Madrid furono assassinati circa 62.000 cittadini non combattenti; il Governo Nazionale possiede 35.000 fotografie di queste povere vittime. A Valenza i cittadini, non combattenti, assassinati dai Comunisti e Anarchici furono non meno di 12.000. Ciò può dare un’idea di quello che è successo nelle città e popolazioni sottomesse al giogo terrorista.
I Sacerdoti e religiosi assassinati per puro odio contro la Religione superano i 16.000, tra i quali 11 vescovi. Secondo notizie ufficiali risulta che dei 33.500 sacerdoti che erano in Ispagna ne furono assassinati dal 40 al 50%; in nove diocesi l’80%, in Malaga il 90%.
«E’ uno splendore di virtù cristiane e sacerdotali, di eroismi e di martini — disse il Papa nel suo discorso di Castelgandolfo — veri martiri, in tutto il sacro e glorioso significato della parola, fino al sacrificio di vite le più innocenti, di anzianità venerande, di gioventù in pieno fiore; si arrivò all’intrepida generosità di domandare un posto nel carro della morte ed aggiungersi alle vittime che il carnefice aspetta... »
Come vengono “processati” e massacrati i Sacerdoti nella Spagna rossa?
Ecco lo schema abituale dell’interrogatorio: “Quali sono le vostre funzioni?” — “Sono sacerdote.” — “Dichiarate di non esserlo più.” — “Impossibile.” — “Dichiarate di non volerlo più essere e la vostra vita è salva.” — “Non posso dirlo perché sono sacerdote in eterno.” Furia degli interroganti sempre più rabbiosi quanto più la vittima accentuava le affermazioni del carattere sacerdotale. Condanna a morte. I preti partirono per i luoghi dell’esecuzione, pronunciando la nota frase: “Per la causa del mio Dio e della mia Fede”, e al momento dell’esecuzione caddero gridando: “Viva Cristo Re.” Sono testimonianze queste non meno commoventi degli atti dei Martiri della Chiesa nascente.
Cominciamo il nostro Martirologio con un centinaio di Martiri assassinati unicamente a causa della loro fede religiosa. La serie tragica e gloriosa andrà aumentando man mano che ci giungeranno notizie sicure e controllate. Intendiamo pubblicare la biografia di migliaia di martiri, di tutti quelli che il vandalismo rosso ha sacrificato in Ispagna.
G. Costa Deu - P. Antonio Maria da Barcellona, O.M.Cap.
Martiri della Rivoluzione del 1936 nella Catalogna
Seconda edizione
Società Editrice Internazionale, Genova, 1937 - XVI