Giovannino Guareschi & L'Embrione

di Mario Palmaro

     Con Giovannino Guareschi le sorprese non finiscono mai. Basta frugare con un po’ di amore e di passione nel meraviglioso archivio di Roncole Verdi — curato con pazienza certosina da Carlotta e Albertino Guareschi — e capita di ritrovarsi fra le mani un inedito dello scrittore della Bassa. Un racconto mai pubblicato finora, per motivi di censura. O meglio, di autocensura. E il fatto più sconcertante è che in quel racconto, scritto da Guareschi il 23 marzo 1967, si parla dei diritti dell’embrione. Anzi, lo scrittore della Bassa fa molto di più: mette al centro della narrazione un bambino non nato, e gli lascia la parola. Per dichiarare e difendere i suoi diritti traditi. Con incredibile lungimiranza, Guareschi anticipa di parecchi anni tutto il dibattito bioetico sullo stato giuridico dell’embrione, in un’epoca in cui fecondazione in vitro, clonazione e manipolazione genetica erano ancora vocaboli sconosciuti.
     Nel 1967, quando “il padre” di Peppone e don Camillo scrive questo racconto, in Italia l’aborto è ancora un reato, e il divorzio non esiste, anche se il dibattito comincia ad accendersi. Nonostante le condizioni di salute non siano le migliori — ha il cuore in disordine e l’ulcera che lo tormenta — Guareschi continua a lavorare alacremente, e ad annotare con l’abituale meticolosità i suoi impegni, registrandoli in un lunario. Un po’ come ai tempi della prigionia in Germania, documentata nel Diario clandestino. Accanto al giorno 23 di marzo, nel calendario Giovannino annota di aver inviato il racconto al settimanale “Oggi”, e subito dopo scrive un “No” con tanto di punto esclamativo. Il direttore del periodico Rizzoli, Vittorio Buttafava, seppure a malincuore, ha deciso di non pubblicare la storia destinata alla rubrica “Telecorrierino delle famiglie”. Scrive Buttafava: “Caro Guareschi, al momento di impaginare il tuo ultimo pezzo mi è mancato il coraggio. Figurati se non condivido le tue opinioni, ma come posso pubblicare su questo giornaletto per famiglie un attacco così provocatorio verso i magistrati?”. Il direttore di “Oggi” si riferisce al “vecchio signore in toga intento a consultare certe carte” di cui si parla nel racconto, e che Guareschi definisce un usciere, ma che in realtà incarna proprio la magistratura.
     L’obiettivo della satira guareschiana è, questa volta, la normativa sul delitto d’onore: Giovannino non riesce ad accettare la logica che tende a giustificare l’omicidio compiuto dal coniuge tradito. Soprattutto quando a fare le spese dell’odio e della violenza è un innocente, il più innocente e indifeso essere umano: il nascituro. “Un bambino piccolo piccolo — scrive Guareschi — che pareva fatto d’aria”. E ancora: “Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me. E di questo si doveva tener conto!”. Buttafava decise di cestinare il racconto, ma il primo a soffrirne fu proprio lui: “Mi spiace usarti una scortesia proprio a Pasqua (quell’anno si celebrò il 26 marzo, ndr), mentre dovrei mandarti centomila auguri e ringraziamenti, ma come posso rischiare così? “Oggi” è sotto milioni di occhi spesso malevoli; i più malevoli (detto tra noi) sono all’interno della stessa Rizzoli”. E qui Buttafava sembra alludere in particolare a un importante giornalista che non vedeva di buon occhio la collaborazione di Guareschi con la Rizzoli.
     Giovannino sarebbe morto un anno dopo a Cervia, una mattina di luglio, tradito dal suo grande cuore.

Mario Palmaro

(in Avvenire, 15/06/1997)

Inizio

L'embrione




Narrativa