Augustin Cochin
Lo spirito del giacobinismo
Le società di pensiero e la democrazia:
una interpretazione sociologica della Rivoluzione francese
Bompiani (Via Mecenate n.91 - 20138 Milano), Milano 1981
Pagg. 205 - Lire 13.000
Cattolico e conservatore, Augustin Cochin
ha dedicato la sua breve vita (1876-1916) a studiare la Rivoluzione francese,
dominato dal proposito di spiegare perché la Francia alla fine del XVIII
secolo si fosse bruscamente allontanata dalla propria storia secolare e
avesse in tal modo divorziato da se stessa. Ma mentre altri storici
conservatori si sono ostinati a vedere nella Rivoluzione il risultato della
follia umana o di un complotto massonico, Cochin è giunto alla conclusione
che gli eventi dal 1789 in poi furono lo sbocco inevitabile di un
comportamento sociale affermatosi in quelle "società di pensiero" che si
costituirono nel paese verso la metà del secolo, sull'onda dell'Illuminismo
trionfante.
A differenza dei "corpi" dell'Ancien Régime, definiti dalla comunanza di
interessi professionali e sociali dei membri, la società di pensiero promuove
una socializzazione basata sul solo rapporto con le idee; e se da un lato
prefigura il funzionamento della democrazia come sistema politico,
dall'altro inaugura un meccanismo per la formazione del consenso, oggi
diremmo un "regime assembleare" il quale, impostosi alla Francia con la
Rivoluzione, creerà quella tirannia del sociale destinata a sfociare nel
Terrore. Il club giacobino, forma perfetta di società di pensiero, dà vita
all'homo ideologicus: lì i quadri della futura Rivoluzione imparano a
selezionare gli adepti e a manipolare l'opinione nella ricerca della "verità
sociale"; Il, in nome della Libertà, si prepara la soppressione delle
molteplici libertà personali proprie della società "organica"
prerivoluzionaria...
Perché riproporre Cochin oggi? Da Tocqueville a Michelet, da Taine a Jaurès,
da Aulard a Mathiez e Lefebvre, nessuno ha mai pensato la Rivoluzione se non
attraverso i problemi e le scelte del proprio tempo; da due secoli la
Rivoluzione resta il riferimento classico dei grandi confronti ideali sulla
nostra società. Ripensare oggi la Rivoluzione insieme a Cochin non sfugge a
questa verità. E si capisce perché egli sia riesumato in Francia dai "nuovi
storici" a dar man forte ai "nuovi filosofi": per dimostrare la deriva
totalitaria cui conducono la tirannia intellettuale degli ideologi e la
politicizzazione del reale. Ma l'attualità di Cochin, più che in questa
consonanza con i discorsi disincantati sulla politica e l'ideologia, è in un
motivo di riflessione consustanziale alla realtà del nostro tempo.
Come osserva Sergio Romano nella introduzione, la sua analisi ci offre una
chiave per comprendere la dinamica dei gruppi rivoluzionari e il fenomeno terrorista
contemporaneo; ci aiuta a capire come un movimento libertario possa,
attraverso un processo di successive epurazioni, produrre una cellula
terrorista, un "partito armato", un discorso ideologico che si avvita su se
stesso, un disegno eversivo che ignora la realtà e cerca di farle violenza.
Questo libro, scritto fra il 1904 e il 1912 da un uomo che mori sulla Somme
come un paladino a Roncisvalle, letto oggi acquista il fascino di una
profezia.
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